Uri
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Il toponimo, di probabili origini preromane, è di etimologia incerta: contiene la base paleosarda Ur, comune a molti nomi sardi, ed è confrontabile con il basco Ur (acqua) e Urium (acqua fangosa), per le caratteristiche del terreno dove il centro demico sorse.
Il sito fu abitato già in epoca nuragica e romana, come numerose testimonianze archeologiche del periodo nuragico affermano, ma l’attuale villaggio è di origine medievale: appartenne al Giudicato di Torres e fu incluso nella curatoria di Coros, attestato per la prima volta nel Condaghe di San Pietro in Silki (secoli XI – XIII).
Agli inizi del secolo XIII entrò a far parte del territorio acquistato dai Malaspina, dopo il matrimonio del marchese Corrado e vi rimase fino al 1272, quando finì il regno logudorese.
Estinta la famiglia dei Giudici di Torres, i discendenti dei Malaspina compresero Uri nel loro piccolo stato feudale per il quale, nel luglio 1323, in seguito all’atto di vassallaggio accommendato, firmato tra i Malaspina sardi ed il principe Alfonso (futuro re Alfonso il benigno), divenne nominalmente una villa del costituendo regno di Sardegna e Corsica (poi Regno di Sardegna) aggregato alla Corona d’Aragona.
Appartenne ai Malaspina sino al 1343. In questa data, Giovanni Malaspina, morendo senza figli, la lasciò, con tutta la curatoria di Coros, al sovrano catalano – aragonese Pietro il cerimonioso. Il paese passò dunque al Regno di Sardegna, soffrendo gravi danni a causa delle guerre che tormentarono il territorio nei decenni successivi.
Poco dopo, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il villaggio fu occupato dalle truppe del Giudice d’Arborea, che lo tennero fino alla battaglia di Sanluri. Nel 1365 la villa fu inglobata per guerra nel Regno d’Arborea, condividendone le sorti.
In seguito nel 1421, fu incluso nella contea di Oliva, nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Nel 1439 quando i Centelles vendettero ad Angelo Cano la baronia di Osilo, il villaggio fu compreso in quella parte della curatoria del Coros che fu ceduta unitamente ad Osilo. Appartenne ai Cano fino al 1469: in questa data passò per linea femminile ai Cedrelles, tramite il matrimonio di Antonia Cano con Pietro Cedrelles.
Successivamente si aprì una lite fra i Cedrelles ed i Fabra per il possesso del bene, che si concluse nel 1512, con il riconoscimento della villa ai Cedrelles, nella contea di Oliva. Nel 1541, a causa dei numerosi debiti contratti, il feudo fu smembrato, suddiviso in alcuni feudi minori e venduto a Giacomo Manca, che un anno dopo lo rivendette a Bernardo Simò (che ebbe anche il titolo non nobiliare di barone di Uri). In questa data venne accorpato al villaggio di Ittiri.
Nel 1546 costui ne fece dono al figlio Giovanni Michele. Nel 1559, alla morte senza eredi maschi di Giovanni Michele, Uri passò a Giovanna Simò. Morta anche l’ultima erede dei Simò, il villaggio passò a Sebastiano Carillo, imparentato per linea materna ai Simò, che ne riformarono l’amministrazione rendendo più pesante per gli abitanti il carico dei tributi feudali. Estinti i Carillo nel 1630, seguì un’altra lite che contrappose Francesco Barbarà e Francesco Ledà, discendenti per linea femminile dei Carillo. Nel 1633 la villa ed il feudo vennero riconosciuti ai Ledà che, però, nel 1660 dovettero affrontare una nuova lite che vide tra loro contrapposti alcuni esponenti dei Ledà, degli Aymerich e Teodora Comprat, che rivendicava il pagamento di alcuni crediti.
Nel 1707 il villaggio fu riconosciuto possesso di Gerolamo Ledà, la famiglia del quale riuscì ad entrarne definitivamente in possesso solo nel 1719. Successivamente rimase in possesso di questi ultimi. In questo periodo i suoi abitanti soffrirono molto per l’eccessivo carico dei tributi feudali e per l’eccessivo fiscalismo col quale questi venivano richiesti dai feudatari, per cui nel corso del secolo XVIII si creò una tensione crescente con i Ledà. Poco dopo iniziò una nuova lite e solo dopo il 1769, il paese venne definitivamente assegnato ai Ledà. L’anno successivo, Gerolamo Ledà acquistava il titolo di Conte di Ittiri. Ad essi il villaggio appartenne sino al riscatto del feudo, avvenuto nel 1839.
Nel 1795 la popolazione prese parte ai moti antifeudali senza però riuscire a liberarsi dalla dipendenza. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Sassari e nel 1848 entrò a far parte della divisione amministrativa di Sassari.
Al 1859 risale la testimonianza lasciata dall’Angius nell’ambito del Dizionario del Casalis: <<[…] Uri giace in una valle a nord del pianoro di N. D. de Paulis, per il quale riceve la tramontana, il grecale ed il levante. È in un valle perché da tutte le altre parti tiene delle eminenze, piccole colline, tutte spianate sul dorso, perché tutte facevano parte dello stesso pianoro. Da questo si può dedurre quanto caldo faccia d’estate, quanta l’umidità e come l’aria non deve essere molto salubre.
Il territorio di Uri ha una grande estensione ed è nella massima parte di bassa collina, sebbene siano pochi i tratti dove la roccia sia scoperta e non si possa volendo coltivarli o di cereali o con gli alberi da frutto. La roccia predominante è la trachite e in qualche parte si trova il diaspro variante tinto e del quarzo. Nel paese trovansi acque un po’ salmastre; nel resto del territorio non sono in gran numero, né molto abbondevoli. Alcune danno un’acqua salubre ed in notevole copia. Da presso la chiesa di S. Maria de Paludibus è una gran fonte, la quale è il principio del rivolo che scorre la valle, dove trovasi il paese, verso il ponente per tre miglia circa. Queste acque uscendo dalla valle, dov’è Uri, cambiano direzione (rio Mandra) volgendosi quasi alla tramontana, lungo la base del suddetto altopiano, e dove dopo 4 miglia si uniscono al fiume Turritano, che scorre lunghesso i termini settentrionali dello stesso pianoro. Scorre pure per le terre uresi il fiume d’Alghero, sotto la strada provinciale che si sviluppa di sopra la sponda destra e a poca distanza, fuorché nel sito detto Scala Cavalli dove vedesi lontana circa un miglio. Gli altri rivi che si formano in questo territorio versano le loro acque sul suddetto fiume d’Alghero, tra i quali è notevole quello che si valica dopo la discesa di Scala Cavalli.
In questo territorio sono molto frequenti i grandi vegetabili ed in alcune regioni formano selva, dove predominano le specie ghiandifere, massimamente la quercia da sughero. Le foreste uresi sono belle per l’amenità, ed abbondanti di caccia di daini e cinghiali. Le volpi e le martore vi sono in molto numero, e si prendono facilmente le pernici, che si trovano ad ogni passo. Le cacce grosse riescono molto dilettevoli per la forma dei luoghi dove si fanno, nelle corte o pendici, dove ogni cacciatore può vedere il movimento di tutti i suoi compagni, della fiera e dei cani. I sassarese vanno spesso per divertirsi in partite di caccia.
In questo territorio vi sono terreni ottimi per la coltivazione di cereali, e si ha un buon prodotto se le stagioni non disfavoriscono. L’arte però è imperfetta e la diligenza nel lavoro da non lodar molto. La quantità ordinaria della seminagione è come nelle seguenti cifre: starelli 1200 di grano, 550 di orzo, 100 di fave, 50 di legumi. Il prodotto ordinario è del 10.
Il terreno è molto idoneo a lini, i quali sono pregiatissimi, e facilmente si smerciano a galluresi. Il ché animò ad estendere questa cultura più che si faccia nelle terre vicine. Il prezzo che ricavasi è notevole e molte famiglie povere si provvedono con esso delle cose più necessarie, altre pagano i debiti. L’orticoltura non è molto estesa, e il totale degli individui sorpassa di poco i 3000.
Le valli di Uri sarebbero attissime alla coltura degli agrumi. I pochi giardini attinenti alle case dei principali, producono limoni così enormi e di tanta bontà, che non sieno migliori delle altre parti dell’isola, dove queste specie vengono più prosperamente. La vite ha parimente proprio il propizio il clima, quindi la vendemmia è copiosa. Ma bisogna dire che il vino non è di molta bontà, e questo dipende dal pessimo modo di manipolazione, perché chi faccia meglio ottiene vini così buoni, come sono quelli di Alghero.
Nei tempi in cui gli agricoltori vacano dalle opere campestri molti lavorano a tagliar legne, che riducono a carbone e vanno nei paesi d’intorno, o portano in frequentissimi carichi a Sassari. Fanno pure il carbone di fucina dalla pianta detta dai sardi Castagnaru, e provvedono a tutti i fabbri ferrai del dintorno di Sassari.
Noteremo qui la distinzione che era non ha molto delle parti di questo territorio, dove i pascoli pubblici si computavano di giornate 3517, il prato comunale 35, i terreni chiusi 450. I terreni demaniali, dove si trovano le principali selve avevano in superficie giornate 550.
I terreni incolti sono fertilissimi di pascolo per le capre e le vacche, perché sparsi di frequentissime macchie, e se questi paesani sapessero usare dei benefici della natura, potrebbero formare dei prati, e ottenere maggior guadagno dall’educazione delle varie specie. Il bestiame, che dicono manso, perché serve per l’agricoltura e per il trasporto dei prodotti, consiste in circa 350 buoi, in cavalli e cavalle di circa 80, in giumenti 140. Aggiungeremo un centinaio di maiali. Il bestiame rude numera vacche 450, cavalle 200, capre 140, pecore 4000, porci 1000. Vendonsi giovenchi e puledri, e non poca quantità di formaggi di mediocre qualità. L’apicoltura, che potrebbe dare gran frutto, è piuttosto negletta.
Gli uresi vendono le loro derrate ai negozianti di Sassari e Alghero. Gli articoli sono grani, un po’ di legumi, lino, vino, capi vivi, formaggi, pelli, cuoi, lane. La media dei prezzi si può calcolare di lire nuove 115000. Il sovero che vi è abbondante porge nei sugheri un altro articolo, e notevole al commercio.
Uri trovasi a distanza di circa 4 chilometri dalla strada di Alghero, ed ha per la cura delle anime un parroco con il titolo di rettore, assistito da altri due preti. La chiesa parrocchiale è denominata della N.D., che vi è intitolata della Pazienza. Si può notare nel paese una sola chiesa figliale, dedicata alla Santa Croce, la quale è ufficiata da confraternita dello stesso titolo.
A circa chilometri due e mezzo dal paese, al suo levante in una sponda del già notato altipiano, trovasi una chiesa di antichissima struttura a pietre trachitiche, e piuttosto in buon disegno, a tre navate, la quale è denominata alla B.V. denominata di Paulis, il quale nome non viene da una vera palude, ma da un gran pantano che trovasi a breve distanza, nel quale si radunano le acque delle alluvioni, e vi si fermano per non avere scolo. Vedonsi presso la medesima gli avanzi dell’antico monastero dove abitavano religiosi della regola cistercense sotto il governo di un abate, onde fu denominata abbazia.
Questo monastero fu fondato nel 1205 da Comita II Giudice di Torres, per la qual fondazione Pietro vescovo di Sorres, mandò fuori un’epistola latina, che fu pubblicata da Martene e da Durand. Quest’abbazia era delle più insigni, e il suo abate intervenne nel 1355 alle prime corti, che furono celebrate in Cagliari dal re Pietro IV. Nel 1432 essendo già deserta da monaci, fu dal papa Eugenio IV unita all’arcivescovado di Sassari.
Tra l’anno vi si festeggiano diverse volte; ma più solennemente e con numerosissimo concorso nel III giorno della Pentecoste, e in quest’occorrenza vi si vuol tenere una fiera. Prossimamente a questa chiesa vi è aperta una fonte ben copiosa di acque buone, quella stessa che abbiamo indicato movere dal rio della valle maggiore.
Sono nell’urese non pochi nuraghi, de quali noi non possiamo dare il numero né i nomi, avendo smarrito la nota, ed essendo impossibile averla. In uno dei rialti prossimi del paese si sono scavate anticamente delle anticaglie e tra le cose più notevoli, appartenenti ai secoli romani, un Ercole di bronzo alto circa mezzo metro.
Uri con lo prossimo paese di Ittiri formava una contea. Il conte dava al suo primogenito il titolo di barone di Uri.
Nel censimento del 1846 si computarono ad Uri anime in 1017, distribuite in famiglie 252 e in case 242. Il totale suddetto distinguevasi nei due sessi secondo le età nel modo seguente: si numeravano sotto gli anni 5, maschi 66 e femmine 56; sotto gli anni 10, maschi 61 e femmine 62; sotto gli anni 20, maschi 98 e femmine 87; sotto gli anni 30, maschi 108 e femmine 94; sotto gli anni 40, maschi 68 e femmine 64; sotto gli anni 50, maschi 46 e femmine 54; sotto gli anni 60, maschi 46 e femmine 46; sotto gli anni 70, maschi 17 e femmine 28; sotto gli anni 80, maschi 8 e femmine 6; sotto gli anni 90, femmine 2. Distinguevasi poi secondo le condizioni domestiche, il totale dei maschi 518 in scapoli 323, ammogliati 187, vedovi 8; il totale delle femmine 499 in zitelle 255, maritate 181(? – N.d.A.), vedove 74. Il movimento della popolazione si rappresenta dalle seguenti medie: nati 40, morti 22, matrimoni 8.
Le principali professioni sono agricoltura e pastorizia, e se gli applicati a questa sono in numero assai minore, esso è però ancora considerevole. Le persone addette a mestieri non oltrepassano i 25. Nelle professioni libere si notano 2 notai, un chirurgo, un flebotomo, un farmacista. Le scuole elementari si frequentano da non più di 10 fanciulli. Le persone che nel paese sanno leggere e scrivere sono 18. Le donne lavorano su telai, che non sono meno di 220. Fabbricano tele e panni.
Gli uresi sono gente vivacissima e generosa fino alla temerarietà. […]>>.
Per quanto riguarda la demografia recente di Uri, i prima dati significativi sono quelli relativi al Parlamento del 1485: a quella data la popolazione del villaggio contava circa 10 fuochi per un totale di 40 abitanti. A distanza di un secolo, nel 1583, la popolazione era cresciuta; era di fatto più che quadruplicata e contava più di 50 fuochi per un totale di 192 abitanti. Il bilancio demografico del secolo XVII, nonostante le epidemie di peste e le carestie, è positivo: infatti, nel 1698, alla fine del periodo spagnolo, la popolazione era cresciuta ulteriormente e contava 571 abitanti. Nel 1728, all’inizio del periodo sabaudo, la popolazione era nuovamente diminuita e contava 209 abitanti. Nel periodo successivo prese a crescere con continuità e nel 1848, anno in cui si ebbe la fusione perfetta, contava 1046 abitanti. Nei decenni successivi la popolazione si mantenne stabile e nel 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, era di 1070 abitanti. Nella seconda metà del secolo XIX crebbe con continuità e nel 1901 arrivò a 1265 unità. Nel corso dei primi decenni del Novecento la popolazione ebbe un nuovo deciso aumento e nel 1951 contava 2141 abitanti.
Nell’ultimo cinquantennio la sua popolazione è cresciuta ulteriormente; nel 2001 contava 3106 abitanti, di cui 20 stranieri, 1576 maschi, 1430 femmine e 1082 famiglie. La tendenza complessiva rivela una sostanziale stabilità della popolazione, con 21 morti per anno e 33 nati, 50 cancellati dall’anagrafe e 39 nuovi iscritti.
Tra i principali indicatori economici riguardanti Uri, si evidenziano 475 aziende agricole, 140 imprese commerciali, 17 esercizi pubblici, 47 esercizi al dettaglio e 28 ambulanti. Tra gli indicatori sociali: 744 occupati, 96 disoccupati, 224 inoccupati, 24 laureati, 212 diplomati, 901 con licenza media, 891 con licenza elementare, 147 analfabeti; 910 automezzi circolanti.
Ricordiamo che, ovviamente, gli ultimi dati sopra citati sono relativi all’anno 2006, data dell’ultimo censimento.
Il sito fu abitato già in epoca nuragica e romana, come numerose testimonianze archeologiche del periodo nuragico affermano, ma l’attuale villaggio è di origine medievale: appartenne al Giudicato di Torres e fu incluso nella curatoria di Coros, attestato per la prima volta nel Condaghe di San Pietro in Silki (secoli XI – XIII).
Agli inizi del secolo XIII entrò a far parte del territorio acquistato dai Malaspina, dopo il matrimonio del marchese Corrado e vi rimase fino al 1272, quando finì il regno logudorese.
Estinta la famiglia dei Giudici di Torres, i discendenti dei Malaspina compresero Uri nel loro piccolo stato feudale per il quale, nel luglio 1323, in seguito all’atto di vassallaggio accommendato, firmato tra i Malaspina sardi ed il principe Alfonso (futuro re Alfonso il benigno), divenne nominalmente una villa del costituendo regno di Sardegna e Corsica (poi Regno di Sardegna) aggregato alla Corona d’Aragona.
Appartenne ai Malaspina sino al 1343. In questa data, Giovanni Malaspina, morendo senza figli, la lasciò, con tutta la curatoria di Coros, al sovrano catalano – aragonese Pietro il cerimonioso. Il paese passò dunque al Regno di Sardegna, soffrendo gravi danni a causa delle guerre che tormentarono il territorio nei decenni successivi.
Poco dopo, scoppiata la seconda guerra tra Mariano IV e Pietro IV, il villaggio fu occupato dalle truppe del Giudice d’Arborea, che lo tennero fino alla battaglia di Sanluri. Nel 1365 la villa fu inglobata per guerra nel Regno d’Arborea, condividendone le sorti.
In seguito nel 1421, fu incluso nella contea di Oliva, nel grande feudo concesso a Bernardo Centelles. Nel 1439 quando i Centelles vendettero ad Angelo Cano la baronia di Osilo, il villaggio fu compreso in quella parte della curatoria del Coros che fu ceduta unitamente ad Osilo. Appartenne ai Cano fino al 1469: in questa data passò per linea femminile ai Cedrelles, tramite il matrimonio di Antonia Cano con Pietro Cedrelles.
Successivamente si aprì una lite fra i Cedrelles ed i Fabra per il possesso del bene, che si concluse nel 1512, con il riconoscimento della villa ai Cedrelles, nella contea di Oliva. Nel 1541, a causa dei numerosi debiti contratti, il feudo fu smembrato, suddiviso in alcuni feudi minori e venduto a Giacomo Manca, che un anno dopo lo rivendette a Bernardo Simò (che ebbe anche il titolo non nobiliare di barone di Uri). In questa data venne accorpato al villaggio di Ittiri.
Nel 1546 costui ne fece dono al figlio Giovanni Michele. Nel 1559, alla morte senza eredi maschi di Giovanni Michele, Uri passò a Giovanna Simò. Morta anche l’ultima erede dei Simò, il villaggio passò a Sebastiano Carillo, imparentato per linea materna ai Simò, che ne riformarono l’amministrazione rendendo più pesante per gli abitanti il carico dei tributi feudali. Estinti i Carillo nel 1630, seguì un’altra lite che contrappose Francesco Barbarà e Francesco Ledà, discendenti per linea femminile dei Carillo. Nel 1633 la villa ed il feudo vennero riconosciuti ai Ledà che, però, nel 1660 dovettero affrontare una nuova lite che vide tra loro contrapposti alcuni esponenti dei Ledà, degli Aymerich e Teodora Comprat, che rivendicava il pagamento di alcuni crediti.
Nel 1707 il villaggio fu riconosciuto possesso di Gerolamo Ledà, la famiglia del quale riuscì ad entrarne definitivamente in possesso solo nel 1719. Successivamente rimase in possesso di questi ultimi. In questo periodo i suoi abitanti soffrirono molto per l’eccessivo carico dei tributi feudali e per l’eccessivo fiscalismo col quale questi venivano richiesti dai feudatari, per cui nel corso del secolo XVIII si creò una tensione crescente con i Ledà. Poco dopo iniziò una nuova lite e solo dopo il 1769, il paese venne definitivamente assegnato ai Ledà. L’anno successivo, Gerolamo Ledà acquistava il titolo di Conte di Ittiri. Ad essi il villaggio appartenne sino al riscatto del feudo, avvenuto nel 1839.
Nel 1795 la popolazione prese parte ai moti antifeudali senza però riuscire a liberarsi dalla dipendenza. Nel 1821 fu incluso nella provincia di Sassari e nel 1848 entrò a far parte della divisione amministrativa di Sassari.
Al 1859 risale la testimonianza lasciata dall’Angius nell’ambito del Dizionario del Casalis: <<[…] Uri giace in una valle a nord del pianoro di N. D. de Paulis, per il quale riceve la tramontana, il grecale ed il levante. È in un valle perché da tutte le altre parti tiene delle eminenze, piccole colline, tutte spianate sul dorso, perché tutte facevano parte dello stesso pianoro. Da questo si può dedurre quanto caldo faccia d’estate, quanta l’umidità e come l’aria non deve essere molto salubre.
Il territorio di Uri ha una grande estensione ed è nella massima parte di bassa collina, sebbene siano pochi i tratti dove la roccia sia scoperta e non si possa volendo coltivarli o di cereali o con gli alberi da frutto. La roccia predominante è la trachite e in qualche parte si trova il diaspro variante tinto e del quarzo. Nel paese trovansi acque un po’ salmastre; nel resto del territorio non sono in gran numero, né molto abbondevoli. Alcune danno un’acqua salubre ed in notevole copia. Da presso la chiesa di S. Maria de Paludibus è una gran fonte, la quale è il principio del rivolo che scorre la valle, dove trovasi il paese, verso il ponente per tre miglia circa. Queste acque uscendo dalla valle, dov’è Uri, cambiano direzione (rio Mandra) volgendosi quasi alla tramontana, lungo la base del suddetto altopiano, e dove dopo 4 miglia si uniscono al fiume Turritano, che scorre lunghesso i termini settentrionali dello stesso pianoro. Scorre pure per le terre uresi il fiume d’Alghero, sotto la strada provinciale che si sviluppa di sopra la sponda destra e a poca distanza, fuorché nel sito detto Scala Cavalli dove vedesi lontana circa un miglio. Gli altri rivi che si formano in questo territorio versano le loro acque sul suddetto fiume d’Alghero, tra i quali è notevole quello che si valica dopo la discesa di Scala Cavalli.
In questo territorio sono molto frequenti i grandi vegetabili ed in alcune regioni formano selva, dove predominano le specie ghiandifere, massimamente la quercia da sughero. Le foreste uresi sono belle per l’amenità, ed abbondanti di caccia di daini e cinghiali. Le volpi e le martore vi sono in molto numero, e si prendono facilmente le pernici, che si trovano ad ogni passo. Le cacce grosse riescono molto dilettevoli per la forma dei luoghi dove si fanno, nelle corte o pendici, dove ogni cacciatore può vedere il movimento di tutti i suoi compagni, della fiera e dei cani. I sassarese vanno spesso per divertirsi in partite di caccia.
In questo territorio vi sono terreni ottimi per la coltivazione di cereali, e si ha un buon prodotto se le stagioni non disfavoriscono. L’arte però è imperfetta e la diligenza nel lavoro da non lodar molto. La quantità ordinaria della seminagione è come nelle seguenti cifre: starelli 1200 di grano, 550 di orzo, 100 di fave, 50 di legumi. Il prodotto ordinario è del 10.
Il terreno è molto idoneo a lini, i quali sono pregiatissimi, e facilmente si smerciano a galluresi. Il ché animò ad estendere questa cultura più che si faccia nelle terre vicine. Il prezzo che ricavasi è notevole e molte famiglie povere si provvedono con esso delle cose più necessarie, altre pagano i debiti. L’orticoltura non è molto estesa, e il totale degli individui sorpassa di poco i 3000.
Le valli di Uri sarebbero attissime alla coltura degli agrumi. I pochi giardini attinenti alle case dei principali, producono limoni così enormi e di tanta bontà, che non sieno migliori delle altre parti dell’isola, dove queste specie vengono più prosperamente. La vite ha parimente proprio il propizio il clima, quindi la vendemmia è copiosa. Ma bisogna dire che il vino non è di molta bontà, e questo dipende dal pessimo modo di manipolazione, perché chi faccia meglio ottiene vini così buoni, come sono quelli di Alghero.
Nei tempi in cui gli agricoltori vacano dalle opere campestri molti lavorano a tagliar legne, che riducono a carbone e vanno nei paesi d’intorno, o portano in frequentissimi carichi a Sassari. Fanno pure il carbone di fucina dalla pianta detta dai sardi Castagnaru, e provvedono a tutti i fabbri ferrai del dintorno di Sassari.
Noteremo qui la distinzione che era non ha molto delle parti di questo territorio, dove i pascoli pubblici si computavano di giornate 3517, il prato comunale 35, i terreni chiusi 450. I terreni demaniali, dove si trovano le principali selve avevano in superficie giornate 550.
I terreni incolti sono fertilissimi di pascolo per le capre e le vacche, perché sparsi di frequentissime macchie, e se questi paesani sapessero usare dei benefici della natura, potrebbero formare dei prati, e ottenere maggior guadagno dall’educazione delle varie specie. Il bestiame, che dicono manso, perché serve per l’agricoltura e per il trasporto dei prodotti, consiste in circa 350 buoi, in cavalli e cavalle di circa 80, in giumenti 140. Aggiungeremo un centinaio di maiali. Il bestiame rude numera vacche 450, cavalle 200, capre 140, pecore 4000, porci 1000. Vendonsi giovenchi e puledri, e non poca quantità di formaggi di mediocre qualità. L’apicoltura, che potrebbe dare gran frutto, è piuttosto negletta.
Gli uresi vendono le loro derrate ai negozianti di Sassari e Alghero. Gli articoli sono grani, un po’ di legumi, lino, vino, capi vivi, formaggi, pelli, cuoi, lane. La media dei prezzi si può calcolare di lire nuove 115000. Il sovero che vi è abbondante porge nei sugheri un altro articolo, e notevole al commercio.
Uri trovasi a distanza di circa 4 chilometri dalla strada di Alghero, ed ha per la cura delle anime un parroco con il titolo di rettore, assistito da altri due preti. La chiesa parrocchiale è denominata della N.D., che vi è intitolata della Pazienza. Si può notare nel paese una sola chiesa figliale, dedicata alla Santa Croce, la quale è ufficiata da confraternita dello stesso titolo.
A circa chilometri due e mezzo dal paese, al suo levante in una sponda del già notato altipiano, trovasi una chiesa di antichissima struttura a pietre trachitiche, e piuttosto in buon disegno, a tre navate, la quale è denominata alla B.V. denominata di Paulis, il quale nome non viene da una vera palude, ma da un gran pantano che trovasi a breve distanza, nel quale si radunano le acque delle alluvioni, e vi si fermano per non avere scolo. Vedonsi presso la medesima gli avanzi dell’antico monastero dove abitavano religiosi della regola cistercense sotto il governo di un abate, onde fu denominata abbazia.
Questo monastero fu fondato nel 1205 da Comita II Giudice di Torres, per la qual fondazione Pietro vescovo di Sorres, mandò fuori un’epistola latina, che fu pubblicata da Martene e da Durand. Quest’abbazia era delle più insigni, e il suo abate intervenne nel 1355 alle prime corti, che furono celebrate in Cagliari dal re Pietro IV. Nel 1432 essendo già deserta da monaci, fu dal papa Eugenio IV unita all’arcivescovado di Sassari.
Tra l’anno vi si festeggiano diverse volte; ma più solennemente e con numerosissimo concorso nel III giorno della Pentecoste, e in quest’occorrenza vi si vuol tenere una fiera. Prossimamente a questa chiesa vi è aperta una fonte ben copiosa di acque buone, quella stessa che abbiamo indicato movere dal rio della valle maggiore.
Sono nell’urese non pochi nuraghi, de quali noi non possiamo dare il numero né i nomi, avendo smarrito la nota, ed essendo impossibile averla. In uno dei rialti prossimi del paese si sono scavate anticamente delle anticaglie e tra le cose più notevoli, appartenenti ai secoli romani, un Ercole di bronzo alto circa mezzo metro.
Uri con lo prossimo paese di Ittiri formava una contea. Il conte dava al suo primogenito il titolo di barone di Uri.
Nel censimento del 1846 si computarono ad Uri anime in 1017, distribuite in famiglie 252 e in case 242. Il totale suddetto distinguevasi nei due sessi secondo le età nel modo seguente: si numeravano sotto gli anni 5, maschi 66 e femmine 56; sotto gli anni 10, maschi 61 e femmine 62; sotto gli anni 20, maschi 98 e femmine 87; sotto gli anni 30, maschi 108 e femmine 94; sotto gli anni 40, maschi 68 e femmine 64; sotto gli anni 50, maschi 46 e femmine 54; sotto gli anni 60, maschi 46 e femmine 46; sotto gli anni 70, maschi 17 e femmine 28; sotto gli anni 80, maschi 8 e femmine 6; sotto gli anni 90, femmine 2. Distinguevasi poi secondo le condizioni domestiche, il totale dei maschi 518 in scapoli 323, ammogliati 187, vedovi 8; il totale delle femmine 499 in zitelle 255, maritate 181(? – N.d.A.), vedove 74. Il movimento della popolazione si rappresenta dalle seguenti medie: nati 40, morti 22, matrimoni 8.
Le principali professioni sono agricoltura e pastorizia, e se gli applicati a questa sono in numero assai minore, esso è però ancora considerevole. Le persone addette a mestieri non oltrepassano i 25. Nelle professioni libere si notano 2 notai, un chirurgo, un flebotomo, un farmacista. Le scuole elementari si frequentano da non più di 10 fanciulli. Le persone che nel paese sanno leggere e scrivere sono 18. Le donne lavorano su telai, che non sono meno di 220. Fabbricano tele e panni.
Gli uresi sono gente vivacissima e generosa fino alla temerarietà. […]>>.
Per quanto riguarda la demografia recente di Uri, i prima dati significativi sono quelli relativi al Parlamento del 1485: a quella data la popolazione del villaggio contava circa 10 fuochi per un totale di 40 abitanti. A distanza di un secolo, nel 1583, la popolazione era cresciuta; era di fatto più che quadruplicata e contava più di 50 fuochi per un totale di 192 abitanti. Il bilancio demografico del secolo XVII, nonostante le epidemie di peste e le carestie, è positivo: infatti, nel 1698, alla fine del periodo spagnolo, la popolazione era cresciuta ulteriormente e contava 571 abitanti. Nel 1728, all’inizio del periodo sabaudo, la popolazione era nuovamente diminuita e contava 209 abitanti. Nel periodo successivo prese a crescere con continuità e nel 1848, anno in cui si ebbe la fusione perfetta, contava 1046 abitanti. Nei decenni successivi la popolazione si mantenne stabile e nel 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, era di 1070 abitanti. Nella seconda metà del secolo XIX crebbe con continuità e nel 1901 arrivò a 1265 unità. Nel corso dei primi decenni del Novecento la popolazione ebbe un nuovo deciso aumento e nel 1951 contava 2141 abitanti.
Nell’ultimo cinquantennio la sua popolazione è cresciuta ulteriormente; nel 2001 contava 3106 abitanti, di cui 20 stranieri, 1576 maschi, 1430 femmine e 1082 famiglie. La tendenza complessiva rivela una sostanziale stabilità della popolazione, con 21 morti per anno e 33 nati, 50 cancellati dall’anagrafe e 39 nuovi iscritti.
Tra i principali indicatori economici riguardanti Uri, si evidenziano 475 aziende agricole, 140 imprese commerciali, 17 esercizi pubblici, 47 esercizi al dettaglio e 28 ambulanti. Tra gli indicatori sociali: 744 occupati, 96 disoccupati, 224 inoccupati, 24 laureati, 212 diplomati, 901 con licenza media, 891 con licenza elementare, 147 analfabeti; 910 automezzi circolanti.
Ricordiamo che, ovviamente, gli ultimi dati sopra citati sono relativi all’anno 2006, data dell’ultimo censimento.
Articolo Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Uri_(Italia)
Nearby cities:
Coordinate: 40°38'19"N 8°29'25"E
- Uri 1.7 km
- Monte Ozzastru 2.7 km
- Lago Cuga 3.2 km
- Monte Cuga 271 mt. 3.7 km
- Usini 4 km
- monte Crasta 4.5 km
- Rimboschimento 5.8 km
- Ittiri 8.2 km
- Putifigari 8.4 km
- SARDEGNA 76 km