Ex Monastero dei Benedettini Cassinesi di San Nicolò l'Arena (Comune di Catania)
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Piazza Dante Alighieri, 32
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università, sito archeologico, monastero

Intorno alla seconda metà del XII secolo, sulle pendici dell'Etna, venne eretta una cappella e un ricovero per i monaci infermi dei vicini monasteri di Santa Maria di Licodia e San Leone del colle Pennacchio, nei pressi di Paternò. In seguito per volere di Federico III di Aragona, vi si costruì un monastero, che venne costituito sede principale dei cenobi, prendendo la denominazione di San Nicolò la Rena per la devozione dei monaci a San Nicola di Bari e per la caratteristica terra sabbiosa (rena o arena, "sabbia", in castigliano) che ricopriva la zona. Attorno al monastero prese forma ben presto il paese di Nicolosi, nell'hinterland etneo.
Il cenobio negli anni si espanse superando in importanza quello di Licodia (a testimonianza di ciò basti ricordare le numerose visite delle regine Eleonora d'Angiò e Bianca di Navarra e il favore sempre avuto dai regnanti a partire da Federico III) e accumulò notevoli ricchezze. Nel 1506, entrò a far parte della Congregazione Cassinese dell'Ordine di San Benedetto. Ma le scorribande di briganti che imperversavano nella zona (i cosiddetti bravi), favorite dal relativo isolamento di questo come del cenobio di San Leone, unite al clima rigido dell'Etna, spinsero i monaci a richiedere insistentemente il trasferimento a Catania, città munita e dunque più sicura e in più molto ben disposta ad accogliere una congregazione così ricca e importante, detentrice della reliquia del Santo Chiodo, molto venerata dai catanesi, che avrebbe aumentato notevolmente la ricchezza e il prestigio della città. L'eruzione del 1536-1537, che distrusse il monastero di San Leone, accelerò i tempi: i due cenobi superstiti, quello di Nicolosi e quello di Santa Maria di Licodia, con i monaci di San Leone che vi si erano rifugiati, ottennero il permesso di trasferirsi dentro le mura della vicina città demaniale.
I monaci Benedettini, trasferiti nel XVI secolo a Catania, ottennero il permesso di costruire la nuova sede del monastero entro le mura della città, nei luoghi attuali, allora detti "della Cipriana" e "del Parco". Iniziata la costruzione nel 1558 alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, fu occupato dai monaci, ancora incompleto nel 1578 e, poco dopo, venne iniziata anche la costruzione della chiesa. Nel corso del XVII secolo, con l'aumentare delle ricchezze a disposizione del cenobio, chiesa e monastero furono dotati di apparati sempre più fastosi, come nel grande chiostro sistemato nel 1608 con colonne di marmo bianco e ricchi ornamenti. Nel 1669, in seguito ad una devastante eruzione dell'Etna, la colata raggiunse ed accerchiò Catania lambendo le mura del cenobio e lesionandolo, mentre una lingua di lava, staccandosi dalla principale, distrusse la chiesa di San Nicolò. In seguito ai danni dell'eruzione, i benedettini diedero vita ad un'imponente opera di ristrutturazione e completamento (con l'aggiunta fra l'altro della monumentale fontana marmorea nel chiostro) e in contemporanea fu avviata la costruzione della chiesa di San Nicolò, iniziata nel 1687 su progetto dell'architetto romano Giovanni Battista Contini. Inizialmente i monaci superstiti cercarono di trasferire il cenobio nella vicina località di Monte Vergine e lì cominciarono persino a costruire il nuovo monastero, ma costretti dal senato cittadino ritornarono alla Cipriana nel 1702 e continuarono la ricostruzione sulle strutture superstiti. Il progetto fu affidato al messinese Antonino Amato, che ideò un impianto ancor più monumentale del precedente, certo in sintonia con le idee di ricchezza e grandiosità dei monaci stessi. L'impianto cinquecentesco originale fu ampliato ad oriente con la costruzione di un secondo chiostro accanto al più antico, mentre altri due chiostri avrebbero dovuto chiudere simmetricamente il complesso a nord sull'altro fianco della chiesa.
Nei successivi venti anni furono completati gli intagli in pietra dei prospetti principali ma i lavori di costruzione, ampliamento e decorazione si continuarono per tutto il XVIII secolo, prima con il chiostro di marmo, dove furono rimesse in opera le colonne seicentesche e la fontana, poi con l'ampliamento a nord ad opera degli architetti Francesco Battaglia e Giovanni Battista Vaccarini. Se al primo si deve l'avvio del prolungamento settentrionale verso l'alto banco lavico dell'eruzione del 1669, al secondo spetta la rottura della originaria simmetria progettuale: le sale comuni e di rappresentanza del monastero, occuparono infatti l'area del terzo chiostro, preludio al definitivo abbandono del grandioso progetto originale.
L'opera del Vaccarini fu completata dopo il 1747 dal Battaglia, che si occupò anche di altre opere all'interno del complesso: il ponte verso la flora benedettina (ossia il giardino dei monaci ricavato sul banco lavico ad est del complesso e oggi occupato dall'ospedale Vittorio Emanuele), il coro di notte, la continuazione dei lavori della chiesa (interrotti a causa di crolli e cedimenti strutturali nel 1755). Nel 1767, nel presbiterio della chiesa veniva inaugurato il grande organo di Donato Del Piano, ma occorsero ancora molti anni prima che venisse voltata l'intera navata. Solo nel 1780 Stefano Ittar portò a termine la cupola mentre la facciata progettata da Carmelo Battaglia Santangelo rimase incompiuta. Sempre Ittar si occupò anche della sistemazione spaziale del piano antistante la chiesa, l'attuale piazza Dante Alighieri, progettando nel 1769 la grande esedra con i tre monumentali palazzi, non solo per questioni estetiche e religiose (la piazza era teatro di varie feste religiose, soprattutto quella del Santo Chiodo) quanto come avvio del necessario risanamento del quartiere a nord, il cosiddetto Antico Corso, fra i più poveri e malsani della città. A questo punto gran parte del monastero e della chiesa era già completata e i monaci si dedicarono nei decenni successivi alla decorazione interna degli ambienti, a dotare di marmi pregiati e dipinti le cappelle, a mettere insieme quelle grandi collezioni artistiche, archeologiche, librarie, naturalistiche e scientifiche, che resero famoso in tutta Europa il Monastero.
Nel 1866 vennero emanate le cosiddette "leggi eversive dell'asse ecclesiastico", con cui i beni del clero, soprattutto quelli dell'ex Regno delle Due Sicilie e dell'ex Stato Pontificio, sono stati incamerati dallo Stato: ecco che il "Monastero dei Benedettini Cassinesi di San Nicolò l'Arena" venne incorporato nel demanio del Regno d'Italia. In seguito, questo complesso monastico funse da molte cose, come Licei, Istituti Tecnici, perfino caserme, ma dal 1977 fa definitivamente parte dell'Ateneo catanese e oggi è sede del "Dipartimento di Scienze Umanistiche" (Di.S.Um.).
Il cenobio negli anni si espanse superando in importanza quello di Licodia (a testimonianza di ciò basti ricordare le numerose visite delle regine Eleonora d'Angiò e Bianca di Navarra e il favore sempre avuto dai regnanti a partire da Federico III) e accumulò notevoli ricchezze. Nel 1506, entrò a far parte della Congregazione Cassinese dell'Ordine di San Benedetto. Ma le scorribande di briganti che imperversavano nella zona (i cosiddetti bravi), favorite dal relativo isolamento di questo come del cenobio di San Leone, unite al clima rigido dell'Etna, spinsero i monaci a richiedere insistentemente il trasferimento a Catania, città munita e dunque più sicura e in più molto ben disposta ad accogliere una congregazione così ricca e importante, detentrice della reliquia del Santo Chiodo, molto venerata dai catanesi, che avrebbe aumentato notevolmente la ricchezza e il prestigio della città. L'eruzione del 1536-1537, che distrusse il monastero di San Leone, accelerò i tempi: i due cenobi superstiti, quello di Nicolosi e quello di Santa Maria di Licodia, con i monaci di San Leone che vi si erano rifugiati, ottennero il permesso di trasferirsi dentro le mura della vicina città demaniale.
I monaci Benedettini, trasferiti nel XVI secolo a Catania, ottennero il permesso di costruire la nuova sede del monastero entro le mura della città, nei luoghi attuali, allora detti "della Cipriana" e "del Parco". Iniziata la costruzione nel 1558 alla presenza del viceré di Sicilia Juan de la Cerda, duca di Medinaceli, fu occupato dai monaci, ancora incompleto nel 1578 e, poco dopo, venne iniziata anche la costruzione della chiesa. Nel corso del XVII secolo, con l'aumentare delle ricchezze a disposizione del cenobio, chiesa e monastero furono dotati di apparati sempre più fastosi, come nel grande chiostro sistemato nel 1608 con colonne di marmo bianco e ricchi ornamenti. Nel 1669, in seguito ad una devastante eruzione dell'Etna, la colata raggiunse ed accerchiò Catania lambendo le mura del cenobio e lesionandolo, mentre una lingua di lava, staccandosi dalla principale, distrusse la chiesa di San Nicolò. In seguito ai danni dell'eruzione, i benedettini diedero vita ad un'imponente opera di ristrutturazione e completamento (con l'aggiunta fra l'altro della monumentale fontana marmorea nel chiostro) e in contemporanea fu avviata la costruzione della chiesa di San Nicolò, iniziata nel 1687 su progetto dell'architetto romano Giovanni Battista Contini. Inizialmente i monaci superstiti cercarono di trasferire il cenobio nella vicina località di Monte Vergine e lì cominciarono persino a costruire il nuovo monastero, ma costretti dal senato cittadino ritornarono alla Cipriana nel 1702 e continuarono la ricostruzione sulle strutture superstiti. Il progetto fu affidato al messinese Antonino Amato, che ideò un impianto ancor più monumentale del precedente, certo in sintonia con le idee di ricchezza e grandiosità dei monaci stessi. L'impianto cinquecentesco originale fu ampliato ad oriente con la costruzione di un secondo chiostro accanto al più antico, mentre altri due chiostri avrebbero dovuto chiudere simmetricamente il complesso a nord sull'altro fianco della chiesa.
Nei successivi venti anni furono completati gli intagli in pietra dei prospetti principali ma i lavori di costruzione, ampliamento e decorazione si continuarono per tutto il XVIII secolo, prima con il chiostro di marmo, dove furono rimesse in opera le colonne seicentesche e la fontana, poi con l'ampliamento a nord ad opera degli architetti Francesco Battaglia e Giovanni Battista Vaccarini. Se al primo si deve l'avvio del prolungamento settentrionale verso l'alto banco lavico dell'eruzione del 1669, al secondo spetta la rottura della originaria simmetria progettuale: le sale comuni e di rappresentanza del monastero, occuparono infatti l'area del terzo chiostro, preludio al definitivo abbandono del grandioso progetto originale.
L'opera del Vaccarini fu completata dopo il 1747 dal Battaglia, che si occupò anche di altre opere all'interno del complesso: il ponte verso la flora benedettina (ossia il giardino dei monaci ricavato sul banco lavico ad est del complesso e oggi occupato dall'ospedale Vittorio Emanuele), il coro di notte, la continuazione dei lavori della chiesa (interrotti a causa di crolli e cedimenti strutturali nel 1755). Nel 1767, nel presbiterio della chiesa veniva inaugurato il grande organo di Donato Del Piano, ma occorsero ancora molti anni prima che venisse voltata l'intera navata. Solo nel 1780 Stefano Ittar portò a termine la cupola mentre la facciata progettata da Carmelo Battaglia Santangelo rimase incompiuta. Sempre Ittar si occupò anche della sistemazione spaziale del piano antistante la chiesa, l'attuale piazza Dante Alighieri, progettando nel 1769 la grande esedra con i tre monumentali palazzi, non solo per questioni estetiche e religiose (la piazza era teatro di varie feste religiose, soprattutto quella del Santo Chiodo) quanto come avvio del necessario risanamento del quartiere a nord, il cosiddetto Antico Corso, fra i più poveri e malsani della città. A questo punto gran parte del monastero e della chiesa era già completata e i monaci si dedicarono nei decenni successivi alla decorazione interna degli ambienti, a dotare di marmi pregiati e dipinti le cappelle, a mettere insieme quelle grandi collezioni artistiche, archeologiche, librarie, naturalistiche e scientifiche, che resero famoso in tutta Europa il Monastero.
Nel 1866 vennero emanate le cosiddette "leggi eversive dell'asse ecclesiastico", con cui i beni del clero, soprattutto quelli dell'ex Regno delle Due Sicilie e dell'ex Stato Pontificio, sono stati incamerati dallo Stato: ecco che il "Monastero dei Benedettini Cassinesi di San Nicolò l'Arena" venne incorporato nel demanio del Regno d'Italia. In seguito, questo complesso monastico funse da molte cose, come Licei, Istituti Tecnici, perfino caserme, ma dal 1977 fa definitivamente parte dell'Ateneo catanese e oggi è sede del "Dipartimento di Scienze Umanistiche" (Di.S.Um.).
Articolo Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Monastero_di_San_Nicolò_l'Arena
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